Questa è la prima di una serie di 12 interviste che profileranno gli Investor Relations Managers di Società quotate o quotande , nelle quali i professionisti delle IR condivideranno con i nostri lettori la loro esperienza professionale, suggerimenti per il successo, le best practices, ma soprattutto lo spirito e l’approccio che caratterizza ognuno di loro. Non perdetevi nei prossimi mesi, le interviste degli IR Managers che seguiranno.
“Highly skilled professional communicators”, sempre “around the clock” un bagaglio di preparazione tecnica ed aziendale di altissimo livello e la relazione poi viene da sé.
Luca Torchia, “guru” e “pioniere” delle IR in Italia, noto nella comunità finanziaria internazionale, è Head of Investor Relations di Poste Italiane SpA, di cui sta curando la Privatizzazione.
Da 16 anni nelle Investor Relations, storico Head of IR di Enel Spa dove per 15 anni è stato al timone di un team di circa 30 IR worldwide. Proviene da Mediobanca nella quale ha costruito la sua competenza finanziaria, ed Assogestioni ove ha maturato una rilevante esperienza nelle relazioni tra le società emittenti e gli investitori istituzionali.
1. Cosa ha ispirato il suo ingresso nel settore delle Investor Relations?
Prima di iniziare la mia carriera nelle Investor Relations lavoravo in Assogestioni come responsabile delle relazioni con le società emittenti. In quel contesto ho avviato e portato a termine un progetto per sensibilizzare queste società sulle esigenze conoscitive e informative degli investitori professionali. Stiamo parlando di metà anni ‘90 quando ancora la comunicazione finanziaria, soprattutto in Italia, era agli albori: non c’erano le trimestrali, era appena partito il processo di privatizzazione delle grandi società pubbliche e quindi il coinvolgimento dei grandi investitori istituzionali internazionali sul mercato italiano era, non voglio dire marginale, ma senz’altro non coinvolgente ed importante come adesso. Si stavano manifestando le prime esigenze di trasparenza, di appropriata comunicazione finanziaria per consentire agli investitori professionali di conoscere bene e approfonditamente gli obiettivi, le strategie, ed i piani industriali delle società di cui erano azionisti o potenziali investitori. Eravamo agli albori di tutto questo mondo che a me ha affascinato moltissimo, quindi ho pensato, a valle di questa carriera in Assogestioni, di mettere a patrimonio quello che avevo appreso sul fronte investitori professionali andando in un’azienda che si stava quotando per poter, da lì, venire incontro, conoscendole già, alle esigenze informative degli investitori. Il mio ingresso, quindi, è stato ispirato proprio dall’essermi perfezionato nella mia carriera sugli investitori professionali e poi nel momento in cui nascevano, a metà degli anni ’90, le primissime esigenze di relazione e comunicazione finanziaria tra emittenti e investitori.
2. Quali pensa che siano gli skills più importanti per un IRM?
Li divido in due macro categorie fondamentali.
A) Capacità di conoscere approfonditamente l’azienda in cui si lavora;
B) Capacità di relazionarsi e di capire le esigenze conoscitive delle controparti: investitori ed analisti finanziari.
Lato azienda, l’Investor Relations Manager deve essere una persona che conosce molto bene la realtà aziendale in cui lavora e soprattutto le persone chiave all’interno per poter accedere ai dati ed alle informazioni rilevanti, in tempi rapidi. Poi deve essere in grado di capire subito, nella miriade di informazioni che si generano e nascono in un’azienda, grazie alla sua esperienza e alla sua capacità di sintesi, le informazioni importanti da selezionare e carpire, fondamentali ai fini delle decisioni di investimento. Quindi, buona capacità di relazioni interne, buona conoscenza delle persone chiave all’interno dell’azienda, sia di vertice ma anche operative, e buona capacità di filtrare la miriade di informazioni che ogni giorno e ogni minuto ogni azienda genera.
Dall’altro lato, invece, c’è la capacità di relazionarsi con il mondo esterno, quindi con gli investitori istituzionali e gli analisti finanziari. Qui c’è un mix di capacità relazionale e di capacità di comprendere in maniera immediata le esigenze conoscitive di chi investe o di chi studia l’azienda stessa.
3. Cosa le piace di più del suo lavoro?
Direi la sintesi di quanto ho appena detto. Noi siamo degli highly skilled professional communicators, quindi quello che mi piace di più del mio lavoro è la componente di elevatissima professionalità ma anche la fondamentale componente relazionale.
Concepisco il mio lavoro come un lavoro di facilitazione, un ruolo che facilita una catena di trasmissione dall’interno verso l’esterno, ma anche dall’esterno verso l’interno. Penso che un buon Investor Relations Manager debba essere in grado non solo di trasferire le informazioni dell’azienda all’esterno, ma anche di tenere l’azienda sempre al passo, informata e con il polso del mercato per poter reagire in maniera pronta e adeguata ai mutamenti repentini o ai cambiamenti di esigenze conoscitive dello stesso.
4. Cosa fa per rilassarsi dalla pressione causata dall’essere un IRM costantemente alle prese con i mercati finanziari?
Il tempo libero è sempre molto poco perché, come tu ben sai, questo lavoro si svolge, come direbbero gli inglesi, “around the clock”: i mercati finanziari sono costantemente operativi, sempre aperti e sempre pronti ed esigenti dal punto di vista della relazione con l’azienda.
Io amo molto il mare e la lettura, quindi cerco di conciliare queste due passioni, riposandomi in posti di mare tranquilli. La cosa che mi rilassa di più è il silenzio – perché il nostro lavoro è fatto da un costante colloquio telefonico o verbale con le persone – e la possibilità di rallentare i ritmi perché, come tu ben sai, i ritmi dei mercati finanziari sono ritmi frenetici. Il relax nasce dalla tranquillità e dall’allentamento dei ritmi che nel mio caso si concilia molto con la vita di mare
5. Che consigli per lo sviluppo professionale può suggerire a chi intraprende questo lavoro?
Innanzitutto dico sempre a chi approccia questo lavoro che non è un lavoro di pura comunicazione e relazione, ma deve essere un lavoro che presuppone un bagaglio di preparazione tecnica e aziendale altamente professionale. Molto spesso chi approccia le Investor Relations pensa di arrivare in un mondo dove la core activity sia relazionarsi e comunicare. Invece, la relazione e la comunicazione nel nostro caso sono di elevatissimo contenuto tecnico, con controparti altamente specializzate, tecniche ed esigenti.
Non è quindi possibile pensare di avviarsi alle Investor Relations con un approccio del tipo “parlo, viaggio e faccio relazione“. No, prima bisogna capire che è fondamentale l’attività di preparazione, studio e conoscenza non solo dell’azienda in cui si lavora ma delle metodologie di bilancio, delle metodologie di determinazione dei principali indici economico-patrimoniale-finanziari e di molte altre tematiche rilevanti.
Non possiamo permetterci di non essere preparati, quindi, come dico sempre, mentre la comunicazione e la relazione vengono di conseguenza, il bagaglio culturale dal punto di vista tecnico deve essere costruito. Il consiglio che do è sempre quello di avere un approccio molto tecnico a questo tipo di lavoro e meno relazionale. La parte relazionale poi viene da sé.
6. Qual’è il cambiamento più rilevante che ha visto nel settore delle Investor Relations da quando è iniziata la sua carriera?
Soprattutto nel mondo delle società quotate italiane c’è stato, grazie alla fortissima spinta data dalla ventata di privatizzazione sia al primo ciclo di fine anni ’90, anni 2000, sia al secondo ciclo che è quello che stiamo vivendo adesso, un grandissimo cambiamento nelle esigenze conoscitive, di approfondimento e di relazione degli investitori istituzionali verso l’azienda. Il loro coinvolgimento attivo sia per quanto riguarda la vita assembleare, sia anche per quanto riguarda le esigenze di relazione e di conoscenza, è diventato via via più profondo, più strutturato e più continuativo. Questo è il primo cambiamento.
Il secondo grande cambiamento che non possiamo perdere di vista è il cambiamento tecnologico delle innovazioni, che ha coinvolto anche le modalità di comunicazione. Parlo di tutto il mondo del cosiddetto WebIR. È il secondo grande mutamento che io ho visto per cui oggi si parla con gli investitori in mille modi: immagino le telepresence, i webcast, i podcast e i diversi social network che per noi sono utilissimi anche per prendere contatto con gli investitori istituzionali. Questo grande cambiamento che ha coinvolto il mondo ha secondo me avuto un impatto molto rilevante anche sull’attività delle Investor Relations.
Non ultimo a mio avviso, c’è un altro grandissimo cambiamento di cui ora non possiamo più non tener conto, che è tutto il mondo della Corporate Social Responsability o, in generale, della sostenibilità, per cui sono sempre di più gli investitori che adottano un profilo di sostenibilità nelle loro scelte di investimento. Questo deve essere un elemento cardine per guidare non solo le strategie di impresa che devono essere sempre più orientate a criteri di sostenibilità, ma anche le modalità di comunicazione per cui noi Investor Relations Manager dobbiamo essere sempre più sensibili alle esigenze relative a parametri di sostenibilità e di Corporate Social Responsibility.
7. Qual’è la lezione professionale più importante che ha imparato nella sua vita professionale?
Divido la mia vita professionale in due grandi parti. La prima parte va da Mediobanca ad Assogestioni, quindi la mia esperienza professionale maturata fino alla fine degli anni ’90, nella quale le lezioni professionali più importanti che ho avuto riguardano da un lato la capacità di costruirmi dal punto di vista tecnico finanziario, e questo me l’ha dato Mediobanca, e dall’altro la capacità di creare relazioni importanti e capacità di capire le sensibilità del mondo degli investitori istituzionali, costruita soprattutto con l’esperienza in Assogestioni.
Poi è partita la grande stagione delle mie esperienze come Investor Relations Manager e qui non potrò mai dimenticare, anzi resterà sempre nel mio cuore, la lezione professionale derivante da quindici anni di Enel dove ho avuto modo di seguire tutti i tipi di operazioni di capital market dal lato dell’emittente. Questo è stato sicuramente il contributo più ricco che ho ricevuto nell’arco della mia vita professionale.
8. Ci racconta qualcosa di insolito che le è capitato come Investor Relator?
Di episodi te ne potrei raccontare tantissimi.
Ad esempio, per farti capire com’è rilevante la cultura degli investitori dal punto di vista anche del coinvolgimento del management negli obiettivi di impresa, è noto che gli investitori chiedono sempre più che il management sia legato a meccanismi di remunerazione variabile correlata al perseguimento degli obiettivi aziendali. Se, quindi, il management è bravo, deve essere remunerato in funzione degli obiettivi che persegue, e pertanto gli investitori chiedono sempre informazioni su tutti gli strumenti di incentivazione del management dalla remunerazione variabile a breve (gli MBO) ai piani di stock option.
Mi ricorderò sempre che proprio nel roadshow di privatizzazione dell’Enel, quindi parliamo dell’ottobre del 1999, l’amministratore delegato di allora, il CFO ed il sottoscritto andammo a visitare a New York un grande investitore − non faccio nomi perché mi sembra poco carino − che per me era un mito. Entriamo in questi uffici megagalattici all’ultimo piano di un grattacielo non voglio dire con timore ma sicuramente con reverenzialità.
Entra un giovane in scarpe da tennis, jeans e maglietta, si siede davanti a tre persone in giacca e cravatta, e la prima domanda è: “mi interessa sapere se voi avete dei piani di coinvolgimento negli obiettivi dell’azienda, quindi dei piani di stock option“. All’epoca questi piani ancora non c’erano perché Enel stava per essere quotata e quindi si sarebbero approvati qualche mese dopo, un po’ come sta succedendo adesso in Poste Italiane. E proprio questo gli rispose l’Amministratore Delegato e l’investitore disse: “per me l’incontro può finire qua“.
9. Ci dica qualcosa a proposito di una situazione stimolante con cui ha avuto a che fare e come è stata affrontata.
Potrei raccontare duemila episodi che ho vissuto in Enel, però ne racconto uno che secondo me è storico.
Quando Fulvio Conti divenne amministratore delegato, nel 2005, dovemmo affrontare la bellissima esperienza professionale dell’internazionalizzazione del Gruppo. Una delle prime iniziative di business importantissime con cui mi trovai a che fare fu l’acquisizione di Endesa che avvenne prima attraverso l’acquisizione di una prima quota minoritaria sul mercato e poi attraverso un’Opa. Quella fu la prima volta che io, come Investor Relation Manager, affrontavo un’Opa, ed era un’Opa su una grande società internazionale che poi ci ha aperto il mondo dell’internazionalizzazione dalla Spagna all’America Latina. Grazie all’acquisizione di Endesa, Enel diventò, continua ad essere e continuerà, spero, uno dei gruppi energetici internazionali più grandi e più importanti operativo lungo tutta la catena del valore dell’energia: elettricità, gas, generazione, distribuzione e vendita.
La situazione stimolante che ho vissuto in maniera più forte è stata quella, perché vivere per la prima volta dall’inizio alla fine un processo di trasformazione così importante attraverso una importante operazione di capital market credo sia il sogno di chiunque.
10. Cosa vorrebbe dire ad un giovane professionista che sta considerando l’idea di entrare nelle Investor Relations?
Lo incoraggerei perché secondo me le Investor Relations sono una delle attività più stimolanti che si possano fare in un’azienda, proprio perché rappresentano un’interfaccia tra il mondo aziendale e il mondo dei grandi investitori istituzionali. Gli consiglierei però di aspettarsi una vita molto dura, di forte preparazione, di forte concentrazione, di sacrificio all’inizio e soprattutto di capacità di essere con flessibilità e dinamismo un buon facilitatore nelle relazioni tra gli investitori e il management dell’azienda. Quindi, di avere anche capacità di adattamento e di capire quali sono da una parte le esigenze aziendali e, dall’altra, le esigenze degli investitori internazionali istituzionali.